Il Monte Bianco … l’ho sempre pensato come un sogno, una meta irraggiungibile, una fantasia; l’ho sempre visto e ammirato da ogni dove, in ogni stagione, col tempo bello o nascosto dalla nebbia e dalle nuvole. Poi, nel 2016, me l’ha suggerito una guida e così ho cominciato a pensarci seriamente, a concretizzarlo, a programmarlo, pur considerandolo sempre un obiettivo al limite delle mie possibilità. L’anno scorso avrei avuto l’allenamento giusto, purtroppo la calda estate ha reso le condizioni della montagna troppo pericolose e quindi ho dovuto rimandare.
Quest’anno ci ho riprovato, ho cercato una guida e poi con mia grande sorpresa, me l’ha proposto un amico; ho reagito con due sentimenti diametralmente opposti: ero al settimo cielo perché mi sono resa conto che avrei potuto realizzare il mio sogno, che sarei salita ad una quota che non avevo mai raggiunto prima, che avrei visto e attraversato un mondo fantastico, nel contempo però sono stata assalita da mille paure e timori di fallire, di star male, di non essere all’altezza dei compagni, di non trovare condizioni meteo favorevoli, di andare incontro a mille rischi e pericoli; però il desiderio di provarci era troppo forte e così ho accettato subito più che volentieri.
Mi sono allenata, mi sono preparata psicologicamente, ho pensato all’attrezzatura e all’abbigliamento e, aspettando le migliori condizioni meteo, è arrivato il mercoledì 2 agosto.
Partiamo da Aosta verso Courmayeur, attraversato il Tunnel raggiungiamo Chamonix. Parcheggiata l’auto, dopo una lunga attesa saliamo in funivia all’Aiguilles du Midi -m.3.800-
Legati in cordata scendiamo lungo la cresta aerea per circa 200 metri, attraversiamo il ghiacciaio e raggiungiamo il Refuge des Cosmiques -m.3.613-. Prendiamo posto in camera, ceniamo, riprese e foto di rito dalla terrazza, quindi ci riposiamo, ovviamente non si dorme.
Arriva mezzanotte, l’ora fatidica, ci prepariamo e all’una e mezza partiamo. Scendiamo sul ghiacciaio e attraversando il Col du Midi -m.3.532- cominciamo a salire.
Che emozione!!! la notte fresca è puntinata dalle frontali delle cordate che disegnano la traccia, salendo si vedono le luci di Chamonix e poi, all’improvviso, lontano davanti a noi spunta un’enorme palla infuocata, cos’è?: la luna, stupore meraviglia non sono le parole sufficienti ad esprimere l’emozione … grazie …
Salendo la spalla del Mont Blanc du Tacul, la pendenza aumenta, la concentrazione pure. Dopo una lunga salita ripida e faticosa che superiamo compiendo numerose diagonali, ci concediamo una breve pausa e qualche pezzo di cioccolato al Col Maudit -m.4.035- quindi, continuiamo a salire il ghiacciaio sfruttando la traccia di chi ci ha preceduto.
Arriviamo alla crepaccia terminale alla base del Col du Mont Maudi -m.4.345-: un breve tratto di 100 metri ma con pendenza di 45° che la cordata davanti a noi, la prima della giornata, deve scalinare. Piantando bene i ramponi e la piccozza nel ghiaccio, col fiatone superiamo questo tratto impegnativo e scavalchiamo sull’altro versante.
La traversata della parete ovest del Mont Maudit ci fa perdere un po’ di quota fino al Col della Brenva -m.4.303-. Dopo aver recuperato la fatica con un bicchiere di the caldo, raggiungiamo il Mur de la Côte -m.4.404- alla base dei pendii di neve della cresta arrotondata del Monte Bianco.
La fatica e la quota si fanno sentire anche se mancano ancora 400 metri di dislivello, ma è soprattutto la nebbia che ci preoccupa: all’alba ha sostituito il buio della notte e poi con l’avanzare del giorno, invece di alzarsi come speravamo, si infittisce sempre di più. E non solo la nebbia, anche il vento ci sta accompagnando da un pezzo e con sempre più forza alza la neve che ci punge il viso come tanti spilli e ci copre di ghiaccio. I dubbi sulla riuscita della gita cominciano a farsi strada dentro di noi, la salita è ancora lunga e poi seguirà un’altrettanto lunga discesa in cresta. Boh … speriamo in bene.
La pendenza sempre molto sostenuta del pendio ci fa compiere numerose svolte, saliamo lentamente ma con costanza, la salita è lunga e interminabile e poi finalmente arriviamo in punta, siamo sul tetto del mondo “il Monte Bianco” quattromilaottocentodieci metri: non ci credo, non ho parole, condivido la mia profonda emozione in un forte abbraccio di vetta con i compagni di cordata.
Marco ha avuto difficoltà di stomaco e un abbassamento di pressione gli ha creato problemi di vista. Nebbia, vento forte a raffiche, visibilità di pochi metri, ci aspetta una lunga e rischiosa discesa in cresta, paura dubbi … , non ci resta che pregare.
Cominciamo la discesa lungo l’Arête des Bosses, una cresta affilata e pericolosa in buone condizioni fisiche e meteo, per noi sarà ancora più difficile e lunga, quindi nervi saldi e massima attenzione, non possiamo sbagliare nulla.
Un passo dopo l’altro scendiamo, un po’ in piedi, un po’ in ginocchio, Marco vede poco, la nebbia bassa si confonde con la neve, piantiamo la piccozza e ci buttiamo a terra ad ogni raffica di vento, cerchiamo di stare calmi e di non perdere le staffe, dobbiamo scendere.
Procediamo molto lentamente, con la massima concentrazione, se uno di noi scivola trascina giù anche gli altri, non possiamo sbagliare.
Poi, piano piano, la cresta si allarga e si fa più arrotondata, la nebbia si alza un po’ e finalmente arriviamo al Refuge Vallot -m.4.352-.
Cominciamo a pensare positivo, più scendiamo e più ci sentiamo salvi, l’incubo di non riuscire si affievolisce, la traccia si fa più evidente, la visibilità aumenta, la pendenza si riduce, la discesa è ancora lunga ma i timori hanno lasciato il posto alla speranza.
Giù giù ancora lontano davanti a noi il Refuge du Goûter -m.3.786- sarà la nostra salvezza, puntiamo al nostro obiettivo con determinazione, la temperatura aumenta e il ghiaccio che ci aveva ricoperti si scioglie, sì finalmente la nebbia si alza, siamo al Rifugio, un profondo sentimento di gratitudine ci pervade, togliamo i ramponi e imbrago, posiamo la piccozza e riorganizziamo lo zaino, il peggio è passato.
Riprendiamo la discesa percorrendo il sentiero tutt’altro che banale, in più punti è attrezzato con cavi metallici e scalini, abbastanza affollato, i rischi e i pericoli non sono finiti, però scendiamo con calma e prudenza.
Lungo il Gran Couloir, un canalone molto pericoloso per le frequenti ed improvvise scariche di sassi e detriti che scende parallelo al sentiero, si sentono e si vedono massi che rimbalzano come fossero noccioline, e giù in fondo dovremo attraversare proprio questo canale, partiamo uno per volta e … preghiamo … uno due tre, siamo passati, grazie.
Lasciamo a sinistra il Refuge de Tête Rousse -m.3.167- e, dopo un tratto di pietraia e di sassi che spuntano dall’acqua e dal ghiaccio, raggiungiamo il sentiero escursionistico in direzione della Baraque Forestière des Rognes; svoltiamo a sinistra e con un ultimo sforzo, stanchi appesantiti dallo zaino e accaldati percorriamo, l’ultima discesa interminabile fino a Le Nid d'Aigle -m.2.372-.
Il trenino a cremagliera, il Tramway du Mont Blanc, gremito di turisti ci porta alla funivia dove Luca incontra un amico che, tornati a valle, ci dà un passaggio in macchina fino a Chamonix.
Avrebbe dovuto essere la gita alpinistica più bella della mia vita, in un ambiente favoloso, il buio della notte, il bianco della neve, il blu del cielo sereno, i mille colori dell’alba, il ghiacciaio i crepacci i seracchi, il panorama infinito dalla vetta, la traccia il sentiero, il muro la cresta il couloir, l’emozione la soddisfazione la stanchezza, …, in realtà questi elementi ci sono stati tutti anche se celati dalla nebbia, anzi è stata molto di più di questo perché la nebbia il vento e le condizioni di salute di Marco hanno alzato notevolmente il livello della gita; un’impresa straordinaria di entusiasmo speranza impegno adrenalina incertezza paura tensione affiatamento e soprattutto di gratitudine perché è riuscita, è finita bene, siamo andati e tornati sani e salvi, siamo riusciti a salire – abbiamo raggiunto la meta – siamo riusciti a scendere, grazie grazie grazie
grazie Marco, grazie Luca
tantissimi complimenti a entrambi e buon 74° compleanno a Marco