Stiamo salendo al Monte Bianco, all’alba la nebbia ha sostituito il buio della notte e poi con l’avanzare del giorno, invece di alzarsi come speravamo, si infittisce sempre di più. E non solo la nebbia, anche il vento ci sta accompagnando da un pezzo e con sempre più forza alza la neve che ci punge il viso come tanti spilli e ci ricopre di ghiaccio. Un compagno di cordata ha problemi di salute e non riesce a vedere bene. I dubbi sulla riuscita della gita cominciano a farsi strada dentro di noi, la salita è ancora lunga e poi seguirà un’altrettanto lunga discesa in cresta. Boh … speriamo in bene.
Riuscirò a cavarmela sta’ volta? Accidenti a me, sempre la stessa storia, ma questa ho esagerato. Mi è già capitato di trovarmi nei pasticci. Mi piacciono le escursioni non pianificate che lasciano spazio all’ignoto e all’avventura, ho voglia di fare nuove esperienze, sono curiosa di vedere posti nuovi, di provare un passaggio difficile, se poi non riesco, rinuncio, ma lo faccio promettendomi di ritentare un’altra volta. Questa mia indole mi spinge ad abbandonare la traccia e finisco su terreni impervi, mi ritrovo sull’orlo di un salto di roccia, mi perdo, insomma mi metto in difficoltà e come sempre mi riprometto che non succederà più, anche se non ci credo, è più forte di me. La montagna è la mia grande passione, è la mia vita. La stessa vita che ora è sul filo del rasoio. Amo la montagna ma voglio anche poterci tornare, la voglio raccontare e voglio tornare a casa.
Le forti raffiche di vento e la visibilità di pochi metri renderanno la discesa lungo la cresta affilata e pericolosa des Bosses ancora più difficile e rischiosa, paura dubbi … , non ci resta che pregare; quindi nervi saldi e massima attenzione, non possiamo sbagliare.
L’imperativo è scendere un passo dopo l’altro con calma e prudenza, la nebbia bassa si confonde con la neve, piantiamo la piccozza e ci buttiamo a terra ad ogni raffica di vento, cerchiamo di stare calmi e di non perdere le staffe. Procediamo molto lentamente, con la massima concentrazione, se uno di noi scivola trascina giù anche gli altri, non possiamo sbagliare.
Poi, piano piano la pendenza si riduce, la cresta si allarga e si fa più arrotondata, la nebbia si alza un po’ e finalmente arriviamo alla Vallot. Cominciamo a pensare positivo, più scendiamo e più ci sentiamo salvi, l’incubo di non riuscire si affievolisce, la traccia si fa più evidente, la visibilità aumenta, la discesa è ancora lunga ma i timori hanno lasciato il posto alla speranza, un profondo sentimento di gratitudine ci pervade, il peggio è passato.
L’adrenalina sale nuovamente lungo il Gran Couloir sotto al Goûter, un canalone molto pericoloso per le frequenti ed improvvise scariche di sassi e detriti che scende parallelo al sentiero, si sentono e si vedono massi che rimbalzano come fossero noccioline, e giù in fondo dovremo attraversare proprio questo canale, quando la montagna è ferma e silenziosa partiamo uno alla volta e … preghiamo … uno due tre, siamo passati, grazie.
Il Monte Bianco … l’avevo sempre pensato come un sogno, una meta irraggiungibile, una fantasia, in realtà è stato molto di più e soprattutto è stato un’impresa straordinaria di entusiasmo speranza incertezza tensione e di profonda gratitudine perché è riuscita, siamo andati e tornati sani e salvi, grazie.
Chi non risica non rosica, è questo che cerco in montagna? Questo e molto altro ancora.
Questa storia partecipa al Blogger Contest 2017